Escol era rimasto a parlare con Völker per molto tempo, tanto che ad un certo punto Wizimir l’aveva salutato, ed era rientrato zoppicando nella sua scuola di magia. Il figlio del Duca aveva domandato al capitano dell’Enclave un’armatura benedetta dai Paradine e anche un ulteriore esame mistico, per apprendere quale fosse l’ultimo sconosciuto incantesimo presente sulla sua magnifica spada elfica. Ogni dettaglio del genere poteva fare la differenza in un viaggio difficile come sarebbe stato il suo. Inoltre, il giovane guerriero aveva richiesto al comandante anche un guaritore: una preziosa risorsa che lo accompagnasse e lo sostenesse nel periglio e nello sconforto. Su questo argomento i due avevano parlato a lungo, anche dopo che Alden si era tristemente allontanato perché non ritenuto idoneo. D’altronde la questione era davvero delicata: la scelta del gruppo era fondamentale per il buon esito di una missione importante come quella che si stava accingendo a fare, ma rifiutare tutti i suoi vecchi compagni d’avventura non era semplice da spiegare per il figlio del Duca. Come poteva trasmettere a qualcuno la profonda delusione provata con Andor? L’ansia per un tradimento che poteva celarsi dietro ogni angolo? Piovuto dal cielo per mano dei suoi stessi cari? C’era troppo in ballo adesso, c’era suo figlio: l’ultima speranza di Eord! Il capitano dell’Elnclave elfico alla fine comprese le sue ragioni e dunque Escol poté tornare finalmente a casa. Ad accoglierlo fu Keira, moglie di Malcom e madre di Liss, la sua figlioccia. La donna pareva rifiorita in questo breve periodo di permanenza tra gli elfi e la sua bellezza non passò inosservata al giovane guerriero. Gli parlò del marito, che era entrato a lavorare nella gilda dei mercanti e soprattutto della figlia, che sicuramente sarebbe stata entusiasta di rivederlo. Escol sorrise e le parlò a sua volta dei suoi piani futuri, di ripartire molto presto per una nuova missione, pericolosa, ma che poteva aiutare ad ottenere una speranza in più nella lotta contro Arios. Ora però voleva solo farsi un bagno caldo e riposare. Keira annuì e finalmente Escol poté lavarsi e dormire qualche ora. Era tardo pomeriggio quando riaprì stancamente gli occhi. Si vestì velocemente, con abiti sobri ma comodi, ed uscì. Alla donna, che gli sorrideva benevola sull’uscio, disse solo che sarebbe rientrato per cena. Poi si inchinò leggermente e la ringraziò. Per prima cosa doveva trovare Slanter. Lui sarebbe stato il suo battitore attraverso le terre impervie a sud dell’impero, visto che c’erano ben poche persone che conoscevano quel territorio meglio di lui. Escol recuperò un pò d’informazioni sull’accampamento dei nani e non faticò affatto a trovarlo. Lo scalpiccio dei martelli e il rumore della forgia già si facevano sentire appena dopo poche ore il loro salvataggio (!) e il giovane guerriero sorrise al pensiero di quando nelle “Terre Selvagge” era diventato un beniamino di questa fiera e burbera gente. Era incredibile la loro capacità di adattamento e di organizzazione: non demordevano mai, non si arrendevano mai. Si piegavano, ma mai spezzavano. Davvero un gran popolo. Trovare Slanter fu ancor meno difficile: i nani l’avevano eletto “sindaco della comunità nanica” e questo fatto, un po bislacco a dire il vero, mise subito il figlio del Duca di buon umore. “Slanter sindaco”. Scosse la testa ghignando. Alla fine trovò la sua casa e anche due guardie all’entrata armate di ascia. Tuttavia esse lo scortarono subito dentro, visti gli urlacci di Slanter, che l’aveva scorto dalla finestra ancor prima che avesse parlato con loro. I due si salutarono con affetto e il giovane guerriero non disdegnò di prenderlo in giro per la recente carica di cui il nano era stato investito. Slanter sbuffò, asserendo che egli avrebbe voluto tutto fuorché rimanere chiuso lì dentro, a svolgere quel ruolo noioso ed inutile e quando Escol gli propose di andare con lui ai confini del mondo, nemmeno lo lasciò finire. Accettò senza battere ciglio. A quanto pareva, tutto era meglio di quell’agio e di quell’ozio deprimenti. Il giovane guerriero gli spiegò che la missione era molto difficile, soprattutto dopo esser entrati nella “terra di nessuno”: una fascia di terra, anche piuttosto estesa, esattamente al di sotto del territorio Asura. Tuttavia Slanter non si lasciò intimidire, ed accettò di nuovo, senza esitare, il compito che gli era stato assegnato. Escol annuì e gli diede appuntamento a sette giorni dopo. Così il figlio del Duca lasciò il quartiere dei nani e si recò di nuovo nei pressi del tempio, iniziando a chiedere informazioni su Stee. Gli elfi gli dissero che il generale era ai bastioni ovest a dare manforte ai soldati. Superato il primo anello di cinta, la situazione sembrò drasticamente cambiare agli occhi di Escol: da una apparentemente di calma e prosperità, si passava a questa, nel giro di pochi metri, dove i soldati si trascinavano, stanchi, provati, ed in alcuni casi anche feriti. Trovare il mezzelfo non fu comunque difficile. Escol lo avvicinò e lo ringraziò per l’aiuto che stava offrendo agli elfi, ma il generale sembrava quasi non sentirlo. Era come se la sua mente fosse da qualche altra parte, presa in cupi ed imperscrutabili pensieri. Ovviamente il giovane Berge cercò di capire cosa ci fosse che non andava nella testa e nel cuore di Stee, ed egli sostanzialmente rispose che le cose stavano peggiorando drasticamente all’Enclave. Le legioni imperiali sembravano più aggressive ed agguerrite rispetto a prima e anche più numerose. Forse i fatti accaduti alle miniere avevano spinto Arios a voler distruggere la cittadella? Più volte si era chiesto perché l’imperatore maledetto aveva lasciato questo ultimo avamposto di ribelli in piedi e solo dopo il tradimento di Andor l’aveva capito. “Egli”, aveva alimentato la speranza, affinché il suo mentore lo portasse insieme a Kail direttamente da lui, in modo tale da eliminare tutti i suoi nemici in un unico, definitivo colpo. E quasi ci era riuscito. Umani, elfi e nani, la famosa “coalizione” delle “Terre Selvagge”, erano stati abbattuti dalle sue legioni, Kail era stato assassinato e lui, solo grazie all’intervento del “Fondatore”, si era salvato a stento. Un piano geniale, ordito minuziosamente per almeno quindici anni. Ma adesso perché esitare ancora? Escol abbassò gli occhi: l’avamposto aveva i giorni contati e Stee lo sapeva molto bene. Il figlio del Duca gli posò una mano sulla spalla, chiedendogli se voleva unirsi a lui per una nuova, importante missione. Se avessero avuto successo, forse si sarebbero aperti nuovi scenari per Eord. Compreso per questa ultima “Enclave degli Elfi”. Ovviamente il mezzelfo annuì prontamente. Niente l’avrebbe tenuto lontano da quel ragazzo. Non solo. Quando il giovane guerriero gli parlò della “terra di nessuno”, Stee gli confidò che in passato aveva visitato quei luoghi remoti, in cerca di un avversario che fosse stato in grado di ucciderlo. La sua famosa “missione della vita”. Il suo più recondito segreto. Riferì di creature simili a felini, “i cacciatori”, in grado di tenergli testa e quasi di sopraffarlo. Solo per poco era sopravvissuto ad uno scontro diretto con alcuni di loro. Queste parole non incoraggiarono molto il giovane Berge: Stee era per distacco il miglior guerriero di tutta Eord, ed il fatto che si fosse sentito in difficoltà affrontando quel popolo guerriero faceva pensare. Tuttavia, la consapevolezza che il mezzelfo fosse già andato in quei territori sconosciuti, gli diede la speranza o forse l’illusione, di sapere dove andare una volta giunti lì. Escol si accomiatò, con la promessa di venire a combattere qui, sui bastioni, nei giorni seguenti, ed avvertendo inoltre il generale che sarebbero partiti la settimana successiva. Stee non disse nulla, non si mosse, rimanendo a fissare un orizzonte che non poteva vedere. Il figlio del Duca scosse la testa affranto e tornò a casa, lasciando il mezzelfo da solo. Finalmente qui poté riabbracciare Malcom e Liss! Fu uno dei rari momenti di pura felicità per il giovane Berge, che ormai considerava quella famiglia di contadini come sua a tutti gli effetti. Mise al corrente tutti della missione imminente, della sua pericolosità, ma anche di quanto fosse importante portarla a termine e la sua figlioccia soprattutto non la prese molto bene. I due restarono un po' a parlare dopo cena, ed Escol le spiegò quanto sarebbe stato essenziale che lei imparasse la magia e diventasse una maga potente il prima possibile. Troppe persone dipendevano da questo suo risultato, tra cui suo padre e sua madre, ma anche lui stesso. Egli lo “vedeva” chiaramente, impresso a fuoco nel suo futuro. Poi il figlio del Duca la accompagnò in camera sua, la baciò teneramente sulla fronte e finalmente andò a dormire. Il mattino arrivò forse troppo presto, ma Escol si svegliò riposato come non ricordava da diverse settimane ormai. Si alzò, preparò la colazione a tutti e poi domandò a Keira e Morgan se poteva avere il loro permesso di accompagnare Liss a scuola quella mattina. Ovviamente i genitori acconsentirono. Arrivati a destinazione, il figlio del Duca salutò con un cenno del capo la sua figlioccia, ed incontrò tosto Wizimir. Aveva necessità di capire dal mago, quando la sua “collega” sarebbe stata “disponibile” ad unirsi a lui. Lo stregone gli mostrò un sorriso che pareva più un ghigno, dicendo che Valyn si sarebbe aggregata al suo gruppo al momento opportuno. Aggiunse che non avrebbe dovuto preoccuparsi: lei lo avrebbe trovato e l’avrebbe fatto con facilità. Inoltre l’Asur aveva giurato di essergli fedele per tutta la durata della missione e questo doveva bastargli. Ed in effetti ad Escol bastò. Ringraziò l’amico per l’aiuto, ma gli domandò se poteva fargli dono di un’altra clessidra magica, per poterlo contattare in caso di necessità durante il viaggio. Fidarsi era bene, ma non fidarsi era sempre meglio. Wizimir ottemperò con piacere. Poi il figlio del Duca si voltò e lasciò l’edificio a grandi passi. Tornò al tempio e domandò di Eofaulf ed Alarien. Ora c’era la questione più spinosa da sistemare: avvertire i due compagni di mille avventure che stavolta loro non sarebbero andati con lui. Fortunatamente essi avevano deciso di vivere insieme: all’inizio Escol aveva sperato in una situazione romantica tra i due, ma poi capì che avevano scelto di rimanere insieme perché si sentivano entrambi degli emarginati. Lontani dalle loro famiglie, dai loro clan, dalle loro terre, si sentivano inutili e soli. Quando aprì la porta di casa, Eofaulf lo abbracciò come se avesse visto suo fratello, ed erano passati appena due giorni dal loro ritorno dalle miniere dei nani! Ad Escol gli si spezzò il cuore. Alarien arrivò poco dopo. Arco in mano e faretra vuota, l’elfa aveva appena smontato dal turno di guardia sui bastioni ovest. Ovviamente, si era offerta di aiutare. Non era ferita, ma visibilmente stanca. Anche loro due si abbracciarono per diversi intensi secondi. Escol chiuse gli occhi e respirò a fondo il suo odore. Alarien profumava di fiori di campo e violette anche quando era sudata e malandata come in quel momento. Ormai conosceva ogni cosa di lei. E di Eofaulf. Il figlio del Duca sospirò, prese fiato e coraggio, ed espose ai due amici le sue intenzioni per la prossima missione: liberare Hilda dalle catene di Arios, in un territorio inesplorato e pericoloso. E soprattutto che loro questa volta ne sarebbero rimasti fuori. Entrambi la presero malissimo! Eofaulf abbassò lentamente la testa contrito, quasi frastornato. Alarien invece quasi gli mise le mani addosso. Hilda era anche una loro amica, come poteva chiedergli di rimanere in disparte? Tuttavia Escol, da buon diplomatico qual’era, spiegò che la missione richiedeva poche persone, una conoscenza profonda del territorio imperiale e della “terra di nessuno”, dei loro terribili abitanti e dei pericoli che essa nascondeva, ma soprattutto di avventurieri che lui si poteva permettere il lusso di perdere. Sembrava cinico, forse brutale, ma così stavano le cose e non sarebbe mai tornato indietro su questa decisione. Ovviamente evitò di citare le sue paure più recondite, che riguardavano Arios, Andor, ed eventuali, possibili tradimenti. Era consapevole di esser diventato paranoico, ma dopo quello che aveva passato, tutto era possibile con quell’essere maledetto, anche che avesse manipolato le loro menti per pugnalarlo alle spalle al momento opportuno! Tuttavia, aggiunse anche che, quando fosse tornato, aveva intenzione di andare a liberare suo padre, ed avrebbe fortemente gradito se, durante la sua assenza, loro potessero pensare ad un piano d’azione per riuscire nell’impresa. Non fu facile, ma alla fine i suoi amici si arresero, augurandogli buona fortuna. Fu davvero un triste commiato. Prima di andare, Alarien gli restituì la maschera, che mille volte l’aveva salvata dagli sguardi indiscreti degli imperiali: sarebbe stata più utile ad altri elfi, che eventualmente, in questa impresa, si sarebbero uniti al suo gruppo. Mestamente, Escol la ringraziò e si diresse nuovamente al “Tempio”. Qui incontrò ancora una volta Völker. Il capitano dell’Avamposto gli presentò Aelion, il chierico dei Paradine che si era offerto di accompagnarlo. I due parlarono un po', ed Escol scoprì che era stato proprio lui a curare Alden, deturpato dalla magia ed a un passo dalla morte, nello scontro con gli uomini di Arios alla “Cittadella”. Inoltre, sarebbe stato ancora lui ad infondere la benevolenza dei Paradine nella sua armatura e dunque, a quel punto, il giovane Berge non ebbe più dubbi sulle capacità mistiche dell’elfo. I due si diedero appuntamento alla settimana successiva. Nemmeno il tempo di accomiatarsi, che un paggio avvertì il figlio del Duca che il “Fondatore” si era svegliato e che voleva parlare con lui. Di corsa, Escol si recò di nuovo nella stanza con la “falsa Enwel” e il feretro che accoglieva il corpo vecchio e rinsecchito del “Fondatore”. L’elfa uscì, lasciandoli tosto da soli. Il vecchio faticava a parlare, ed ammise che quelli sarebbero stati gli ultimi respiri e le ultime parole che avrebbe pronunciato in questa vita. In buona sostanza spiegò che Enwel sarebbe dovuta essere la “prescelta” per sostituirlo, ma data la riluttanza del suo spirito a lasciare il medaglione, “il legame indissolubile”, che ancora proteggeva Escol dall’incantesimo mortale dell'imperatore e a riunirsi al suo corpo, non aveva altra scelta che passare a lui il testimone. Escol sarebbe diventato il nuovo “Fondatore”! Anche se avrebbe dovuto scegliersi un altro “nome” rispetto al suo, uno più opportuno, più adatto alla sua persona. Poi si ferì su un braccio e sparse un pò di sangue sul dorso della mano del figlio del Duca. Escol giurò che quando tutto fosse finito, il ruolo di “Fondatore” sarebbe passato a colei che egli aveva accuratamente scelto per svolgere questo compito: Enwel, la sua amata Enwel. Un giorno il suo spirito, nascosto nel medaglione, si sarebbe riunito al suo corpo e lei avrebbe accettato con gioia questo compito, che era suo per diritto di nascita. Sorridendo appena, il vecchio si accasciò dolcemente e morì. Così finì il cammino su Eord del “Fondatore dell’Ordine”, ma il suo retaggio viveva adesso in Escol, aspettando di poter passare al suo legittimo proprietario: Enwel Nelothien Escol aggrottò le sopracciglia nel sentire le campane che suonavano a morto: dodici rintocchi funebri solenni, che in qualche modo lo riportarono alla realtà. Se Arios riusciva a percepire il “Fondatore”, anche a distanze enormi, perché il vecchio aveva scelto lui come portatore ad interim di questo “ruolo”? C’erano molte persone all’avamposto molto più qualificate di lui e sapendo che il “Fondatore” non faceva mai le cose casualmente, doveva esserci un motivo per questa sua decisione così inaspettata e lui ci avrebbe scommesso la sua lucente spada elfica, che esso era collegato alla prossima, imminente missione.