Il giovane figlio del Duca coprì in un giorno la distanza che andava dalla piccola tomba, nella quale aveva tumulato il corpo di Enwel, alla città di Barakhazdus. Era stato un viaggio senza energia, né motivazione e la notte successiva, passata all’addiaccio e senza sonno, era stata quasi interminabile, con le stelle che avevano ricordato costantemente ad Escol gli occhi luminosi e splendenti dell’elfa. Perso nei suoi cupi pensieri e nella tristezza più profonda, aveva continuato a girare e rigirare tra le dita il ciondolo che Enwel gli aveva donato, sentendo che in qualche modo quello fosse non un semplice ninnolo, regalato per semplice gratitudine, ma qualcosa di immensamente più importante, che l’avrebbe aiutato nella missione e per tutta la durata della sua vita. Qualcosa che avrebbe cambiato la sua intera esistenza per sempre. Le porte della città dei nani si spalancarono nel pomeriggio inoltrato, quando Escol notò che una lunga fila di persone, perlopiù Dainur o nani mercanti, stavano diligentemente aspettando per entrare in città, quasi tutti per poter vendere le proprie mercanzie. Il rampollo dei Berge si accodò dunque, attendendo pazientemente di poter parlare con il capitano delle guardie al “Cancello Nord”. Egli aveva una voce potente ed un aspetto massiccio e minaccioso, tuttavia, sebbene i suoi modi fossero quantomeno burberi, non fece particolari problemi a permettergli di entrare in città. Domandò ovviamente chi fosse e perchè volesse entrare a Barakhazdus, ma si fece andar bene le risposte che Escol gli diede, intuendo che il giovane “Nordhmenn” non era né un bandito, né un pericoloso mercenario. Si raccomandò solo di non usare le armi in città. Per sincerarsi di questo, applicò un piccolo pezzo di stoffa al pomello dello spadone che, se sfoderato, avrebbe rotto con facilità il piccolo laccio, dimostrando così che il figlio del Duca aveva mentito. In quel caso, Escol avrebbe dovuto rispondere delle sue bugie al corpo di guardia, il quale era notoriamente molto duro con coloro che proferivano menzogne. Il giovane guerriero lasciò che il capitano dei nani applicasse il sigillo alla sua lunga spada, ma approfittò di quel tempo per fargli un paio di domande sulla città. La prima riguardava dove avrebbe potuto trovare una panetteria per rifornirsi di razioni di viaggio, indispensabili per poter continuare il suo cammino. La seconda, dove fosse la locanda più vicina per poter passare una notte in tranquillità. L’indomani poi sarebbe ripartito. Per la panetteria, il capitano al cancello nord suggerì la Bottega Artad, mentre per la locanda consigliò la taverna chiamata “Beggar's Alehouse”.  Entrambi gli edifici non erano lontani l’uno dall’altro. Salutato cordialmente il capitano, Escol decise di passare subito ad acquistare i viveri necessari per arrivare alla prossima tappa della sua missione, in questo modo, all’alba, sarebbe potuto ripartire con molta calma e senza cose sospese da fare. Terminato l’acquisto, Escol si diresse dunque alla locanda, scoprendo con grande compiacimento che essa era oltremodo pulita e dalle cui cucine saliva un profumo di carne davvero invitante. L’oste, una nano corpulento ed affabile, si precipitò al suo tavolo, cercando di capire chi fosse e dove fosse diretto. Egli usava un linguaggio diretto, domande semplici, perfettamente sensate all’interno di quel contesto conviviale. Nel frattempo ne approfittò per prendere l’ordine della sua cena: carne di montone e birra a volontà! Escol rimase sul vago ovviamente, per nulla turbato dalle domande di rito dell’oste, che era inevitabile sapesse o cercasse di sapere molte cose sui suoi avventori. Fornire informazioni, rappresentava il secondo lavoro dei locandieri, d’altronde. RIferì quindi di chiamarsi Dakkar e di essere diretto a est, aggiungendo pochi altri irrilevanti dettagli sulla natura del suo viaggio. L’oste annuì e sorrise, ed il suo sorriso diventò ancor più grande quando il figlio del Duca gli chiese una stanza per la notte. Poi lo lasciò desinare e fumare la sua pipa dopo il meritato pasto. Escol notò che tra gli avventori seduti ai tavoli, ce n’era uno che non lo convinceva. Sembrava infatti che lo stesse studiando, come se volesse capire o essere sicuro sulla sua identità, prima di farsi avanti. Purtroppo era ammantato con un cappuccio e dei pesanti vestiti da viaggio, pertanto il giovane guerriero non riuscì a guardarlo in faccia, eppure qualcosa dentro di sé lo metteva in guardia da quel tipo. Prima che fosse costretto ad un confronto che egli non voleva, si alzò dalla sedia e disse all’oste che ormai si era fatto abbastanza tardi e che sarebbe andato a letto. L’oste annuì e i due si diedero appuntamento al giorno dopo. La stanza era piccola ma confortevole, ma Escol, affatto tranquillo per ciò che aveva visto al piano di sotto, preferì controllarla a fondo, ed usare un paio di trucchi che Andor gli aveva insegnato per evitare sgradite sorprese. Bloccò dunque la porta con una sedia e quando andò alla finestra per sigillare anch’essa, notò che proprio sotto la sua stanza, c’era qualcuno di sospetto che sembrava piantonare la zona. Forse addirittura la stessa persona che aveva visto dentro la locanda, non ne era certo. Inutile aggiungere che Escol andò a riposare con il cuore pesante e la mano ferma sulla spada.