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Capitolo 7 - Distacchi dolorosi.
- Scritto da Jack Warren
- Categoria: Eord
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Escol era rimasto a parlare con Völker per molto tempo, tanto che ad un certo punto Wizimir l’aveva salutato, ed era rientrato zoppicando nella sua scuola di magia. Il figlio del Duca aveva domandato al capitano dell’Enclave un’armatura benedetta dai Paradine e anche un ulteriore esame mistico, per apprendere quale fosse l’ultimo sconosciuto incantesimo presente sulla sua magnifica spada elfica. Ogni dettaglio del genere poteva fare la differenza in un viaggio difficile come sarebbe stato il suo. Inoltre, il giovane guerriero aveva richiesto al comandante anche un guaritore: una preziosa risorsa che lo accompagnasse e lo sostenesse nel periglio e nello sconforto. Su questo argomento i due avevano parlato a lungo, anche dopo che Alden si era tristemente allontanato perché non ritenuto idoneo. D’altronde la questione era davvero delicata: la scelta del gruppo era fondamentale per il buon esito di una missione importante come quella che si stava accingendo a fare, ma rifiutare tutti i suoi vecchi compagni d’avventura non era semplice da spiegare per il figlio del Duca. Come poteva trasmettere a qualcuno la profonda delusione provata con Andor? L’ansia per un tradimento che poteva celarsi dietro ogni angolo? Piovuto dal cielo per mano dei suoi stessi cari? C’era troppo in ballo adesso, c’era suo figlio: l’ultima speranza di Eord! Il capitano dell’Elnclave elfico alla fine comprese le sue ragioni e dunque Escol poté tornare finalmente a casa. Ad accoglierlo fu Keira, moglie di Malcom e madre di Liss, la sua figlioccia. La donna pareva rifiorita in questo breve periodo di permanenza tra gli elfi e la sua bellezza non passò inosservata al giovane guerriero. Gli parlò del marito, che era entrato a lavorare nella gilda dei mercanti e soprattutto della figlia, che sicuramente sarebbe stata entusiasta di rivederlo. Escol sorrise e le parlò a sua volta dei suoi piani futuri, di ripartire molto presto per una nuova missione, pericolosa, ma che poteva aiutare ad ottenere una speranza in più nella lotta contro Arios. Ora però voleva solo farsi un bagno caldo e riposare. Keira annuì e finalmente Escol poté lavarsi e dormire qualche ora. Era tardo pomeriggio quando riaprì stancamente gli occhi. Si vestì velocemente, con abiti sobri ma comodi, ed uscì. Alla donna, che gli sorrideva benevola sull’uscio, disse solo che sarebbe rientrato per cena. Poi si inchinò leggermente e la ringraziò. Per prima cosa doveva trovare Slanter. Lui sarebbe stato il suo battitore attraverso le terre impervie a sud dell’impero, visto che c’erano ben poche persone che conoscevano quel territorio meglio di lui. Escol recuperò un pò d’informazioni sull’accampamento dei nani e non faticò affatto a trovarlo. Lo scalpiccio dei martelli e il rumore della forgia già si facevano sentire appena dopo poche ore il loro salvataggio (!) e il giovane guerriero sorrise al pensiero di quando nelle “Terre Selvagge” era diventato un beniamino di questa fiera e burbera gente. Era incredibile la loro capacità di adattamento e di organizzazione: non demordevano mai, non si arrendevano mai. Si piegavano, ma mai spezzavano. Davvero un gran popolo. Trovare Slanter fu ancor meno difficile: i nani l’avevano eletto “sindaco della comunità nanica” e questo fatto, un po bislacco a dire il vero, mise subito il figlio del Duca di buon umore. “Slanter sindaco”. Scosse la testa ghignando. Alla fine trovò la sua casa e anche due guardie all’entrata armate di ascia. Tuttavia esse lo scortarono subito dentro, visti gli urlacci di Slanter, che l’aveva scorto dalla finestra ancor prima che avesse parlato con loro. I due si salutarono con affetto e il giovane guerriero non disdegnò di prenderlo in giro per la recente carica di cui il nano era stato investito. Slanter sbuffò, asserendo che egli avrebbe voluto tutto fuorché rimanere chiuso lì dentro, a svolgere quel ruolo noioso ed inutile e quando Escol gli propose di andare con lui ai confini del mondo, nemmeno lo lasciò finire. Accettò senza battere ciglio. A quanto pareva, tutto era meglio di quell’agio e di quell’ozio deprimenti. Il giovane guerriero gli spiegò che la missione era molto difficile, soprattutto dopo esser entrati nella “terra di nessuno”: una fascia di terra, anche piuttosto estesa, esattamente al di sotto del territorio Asura. Tuttavia Slanter non si lasciò intimidire, ed accettò di nuovo, senza esitare, il compito che gli era stato assegnato. Escol annuì e gli diede appuntamento a sette giorni dopo. Così il figlio del Duca lasciò il quartiere dei nani e si recò di nuovo nei pressi del tempio, iniziando a chiedere informazioni su Stee. Gli elfi gli dissero che il generale era ai bastioni ovest a dare manforte ai soldati. Superato il primo anello di cinta, la situazione sembrò drasticamente cambiare agli occhi di Escol: da una apparentemente di calma e prosperità, si passava a questa, nel giro di pochi metri, dove i soldati si trascinavano, stanchi, provati, ed in alcuni casi anche feriti. Trovare il mezzelfo non fu comunque difficile. Escol lo avvicinò e lo ringraziò per l’aiuto che stava offrendo agli elfi, ma il generale sembrava quasi non sentirlo. Era come se la sua mente fosse da qualche altra parte, presa in cupi ed imperscrutabili pensieri. Ovviamente il giovane Berge cercò di capire cosa ci fosse che non andava nella testa e nel cuore di Stee, ed egli sostanzialmente rispose che le cose stavano peggiorando drasticamente all’Enclave. Le legioni imperiali sembravano più aggressive ed agguerrite rispetto a prima e anche più numerose. Forse i fatti accaduti alle miniere avevano spinto Arios a voler distruggere la cittadella? Più volte si era chiesto perché l’imperatore maledetto aveva lasciato questo ultimo avamposto di ribelli in piedi e solo dopo il tradimento di Andor l’aveva capito. “Egli”, aveva alimentato la speranza, affinché il suo mentore lo portasse insieme a Kail direttamente da lui, in modo tale da eliminare tutti i suoi nemici in un unico, definitivo colpo. E quasi ci era riuscito. Umani, elfi e nani, la famosa “coalizione” delle “Terre Selvagge”, erano stati abbattuti dalle sue legioni, Kail era stato assassinato e lui, solo grazie all’intervento del “Fondatore”, si era salvato a stento. Un piano geniale, ordito minuziosamente per almeno quindici anni. Ma adesso perché esitare ancora? Escol abbassò gli occhi: l’avamposto aveva i giorni contati e Stee lo sapeva molto bene. Il figlio del Duca gli posò una mano sulla spalla, chiedendogli se voleva unirsi a lui per una nuova, importante missione. Se avessero avuto successo, forse si sarebbero aperti nuovi scenari per Eord. Compreso per questa ultima “Enclave degli Elfi”. Ovviamente il mezzelfo annuì prontamente. Niente l’avrebbe tenuto lontano da quel ragazzo. Non solo. Quando il giovane guerriero gli parlò della “terra di nessuno”, Stee gli confidò che in passato aveva visitato quei luoghi remoti, in cerca di un avversario che fosse stato in grado di ucciderlo. La sua famosa “missione della vita”. Il suo più recondito segreto. Riferì di creature simili a felini, “i cacciatori”, in grado di tenergli testa e quasi di sopraffarlo. Solo per poco era sopravvissuto ad uno scontro diretto con alcuni di loro. Queste parole non incoraggiarono molto il giovane Berge: Stee era per distacco il miglior guerriero di tutta Eord, ed il fatto che si fosse sentito in difficoltà affrontando quel popolo guerriero faceva pensare. Tuttavia, la consapevolezza che il mezzelfo fosse già andato in quei territori sconosciuti, gli diede la speranza o forse l’illusione, di sapere dove andare una volta giunti lì. Escol si accomiatò, con la promessa di venire a combattere qui, sui bastioni, nei giorni seguenti, ed avvertendo inoltre il generale che sarebbero partiti la settimana successiva. Stee non disse nulla, non si mosse, rimanendo a fissare un orizzonte che non poteva vedere. Il figlio del Duca scosse la testa affranto e tornò a casa, lasciando il mezzelfo da solo. Finalmente qui poté riabbracciare Malcom e Liss! Fu uno dei rari momenti di pura felicità per il giovane Berge, che ormai considerava quella famiglia di contadini come sua a tutti gli effetti. Mise al corrente tutti della missione imminente, della sua pericolosità, ma anche di quanto fosse importante portarla a termine e la sua figlioccia soprattutto non la prese molto bene. I due restarono un po' a parlare dopo cena, ed Escol le spiegò quanto sarebbe stato essenziale che lei imparasse la magia e diventasse una maga potente il prima possibile. Troppe persone dipendevano da questo suo risultato, tra cui suo padre e sua madre, ma anche lui stesso. Egli lo “vedeva” chiaramente, impresso a fuoco nel suo futuro. Poi il figlio del Duca la accompagnò in camera sua, la baciò teneramente sulla fronte e finalmente andò a dormire. Il mattino arrivò forse troppo presto, ma Escol si svegliò riposato come non ricordava da diverse settimane ormai. Si alzò, preparò la colazione a tutti e poi domandò a Keira e Morgan se poteva avere il loro permesso di accompagnare Liss a scuola quella mattina. Ovviamente i genitori acconsentirono. Arrivati a destinazione, il figlio del Duca salutò con un cenno del capo la sua figlioccia, ed incontrò tosto Wizimir. Aveva necessità di capire dal mago, quando la sua “collega” sarebbe stata “disponibile” ad unirsi a lui. Lo stregone gli mostrò un sorriso che pareva più un ghigno, dicendo che Valyn si sarebbe aggregata al suo gruppo al momento opportuno. Aggiunse che non avrebbe dovuto preoccuparsi: lei lo avrebbe trovato e l’avrebbe fatto con facilità. Inoltre l’Asur aveva giurato di essergli fedele per tutta la durata della missione e questo doveva bastargli. Ed in effetti ad Escol bastò. Ringraziò l’amico per l’aiuto, ma gli domandò se poteva fargli dono di un’altra clessidra magica, per poterlo contattare in caso di necessità durante il viaggio. Fidarsi era bene, ma non fidarsi era sempre meglio. Wizimir ottemperò con piacere. Poi il figlio del Duca si voltò e lasciò l’edificio a grandi passi. Tornò al tempio e domandò di Eofaulf ed Alarien. Ora c’era la questione più spinosa da sistemare: avvertire i due compagni di mille avventure che stavolta loro non sarebbero andati con lui. Fortunatamente essi avevano deciso di vivere insieme: all’inizio Escol aveva sperato in una situazione romantica tra i due, ma poi capì che avevano scelto di rimanere insieme perché si sentivano entrambi degli emarginati. Lontani dalle loro famiglie, dai loro clan, dalle loro terre, si sentivano inutili e soli. Quando aprì la porta di casa, Eofaulf lo abbracciò come se avesse visto suo fratello, ed erano passati appena due giorni dal loro ritorno dalle miniere dei nani! Ad Escol gli si spezzò il cuore. Alarien arrivò poco dopo. Arco in mano e faretra vuota, l’elfa aveva appena smontato dal turno di guardia sui bastioni ovest. Ovviamente, si era offerta di aiutare. Non era ferita, ma visibilmente stanca. Anche loro due si abbracciarono per diversi intensi secondi. Escol chiuse gli occhi e respirò a fondo il suo odore. Alarien profumava di fiori di campo e violette anche quando era sudata e malandata come in quel momento. Ormai conosceva ogni cosa di lei. E di Eofaulf. Il figlio del Duca sospirò, prese fiato e coraggio, ed espose ai due amici le sue intenzioni per la prossima missione: liberare Hilda dalle catene di Arios, in un territorio inesplorato e pericoloso. E soprattutto che loro questa volta ne sarebbero rimasti fuori. Entrambi la presero malissimo! Eofaulf abbassò lentamente la testa contrito, quasi frastornato. Alarien invece quasi gli mise le mani addosso. Hilda era anche una loro amica, come poteva chiedergli di rimanere in disparte? Tuttavia Escol, da buon diplomatico qual’era, spiegò che la missione richiedeva poche persone, una conoscenza profonda del territorio imperiale e della “terra di nessuno”, dei loro terribili abitanti e dei pericoli che essa nascondeva, ma soprattutto di avventurieri che lui si poteva permettere il lusso di perdere. Sembrava cinico, forse brutale, ma così stavano le cose e non sarebbe mai tornato indietro su questa decisione. Ovviamente evitò di citare le sue paure più recondite, che riguardavano Arios, Andor, ed eventuali, possibili tradimenti. Era consapevole di esser diventato paranoico, ma dopo quello che aveva passato, tutto era possibile con quell’essere maledetto, anche che avesse manipolato le loro menti per pugnalarlo alle spalle al momento opportuno! Tuttavia, aggiunse anche che, quando fosse tornato, aveva intenzione di andare a liberare suo padre, ed avrebbe fortemente gradito se, durante la sua assenza, loro potessero pensare ad un piano d’azione per riuscire nell’impresa. Non fu facile, ma alla fine i suoi amici si arresero, augurandogli buona fortuna. Fu davvero un triste commiato. Prima di andare, Alarien gli restituì la maschera, che mille volte l’aveva salvata dagli sguardi indiscreti degli imperiali: sarebbe stata più utile ad altri elfi, che eventualmente, in questa impresa, si sarebbero uniti al suo gruppo. Mestamente, Escol la ringraziò e si diresse nuovamente al “Tempio”. Qui incontrò ancora una volta Völker. Il capitano dell’Avamposto gli presentò Aelion, il chierico dei Paradine che si era offerto di accompagnarlo. I due parlarono un po', ed Escol scoprì che era stato proprio lui a curare Alden, deturpato dalla magia ed a un passo dalla morte, nello scontro con gli uomini di Arios alla “Cittadella”. Inoltre, sarebbe stato ancora lui ad infondere la benevolenza dei Paradine nella sua armatura e dunque, a quel punto, il giovane Berge non ebbe più dubbi sulle capacità mistiche dell’elfo. I due si diedero appuntamento alla settimana successiva. Nemmeno il tempo di accomiatarsi, che un paggio avvertì il figlio del Duca che il “Fondatore” si era svegliato e che voleva parlare con lui. Di corsa, Escol si recò di nuovo nella stanza con la “falsa Enwel” e il feretro che accoglieva il corpo vecchio e rinsecchito del “Fondatore”. L’elfa uscì, lasciandoli tosto da soli. Il vecchio faticava a parlare, ed ammise che quelli sarebbero stati gli ultimi respiri e le ultime parole che avrebbe pronunciato in questa vita. In buona sostanza spiegò che Enwel sarebbe dovuta essere la “prescelta” per sostituirlo, ma data la riluttanza del suo spirito a lasciare il medaglione, “il legame indissolubile”, che ancora proteggeva Escol dall’incantesimo mortale dell'imperatore e a riunirsi al suo corpo, non aveva altra scelta che passare a lui il testimone. Escol sarebbe diventato il nuovo “Fondatore”! Anche se avrebbe dovuto scegliersi un altro “nome” rispetto al suo, uno più opportuno, più adatto alla sua persona. Poi si ferì su un braccio e sparse un pò di sangue sul dorso della mano del figlio del Duca. Escol giurò che quando tutto fosse finito, il ruolo di “Fondatore” sarebbe passato a colei che egli aveva accuratamente scelto per svolgere questo compito: Enwel, la sua amata Enwel. Un giorno il suo spirito, nascosto nel medaglione, si sarebbe riunito al suo corpo e lei avrebbe accettato con gioia questo compito, che era suo per diritto di nascita. Sorridendo appena, il vecchio si accasciò dolcemente e morì. Così finì il cammino su Eord del “Fondatore dell’Ordine”, ma il suo retaggio viveva adesso in Escol, aspettando di poter passare al suo legittimo proprietario: Enwel Nelothien Escol aggrottò le sopracciglia nel sentire le campane che suonavano a morto: dodici rintocchi funebri solenni, che in qualche modo lo riportarono alla realtà. Se Arios riusciva a percepire il “Fondatore”, anche a distanze enormi, perché il vecchio aveva scelto lui come portatore ad interim di questo “ruolo”? C’erano molte persone all’avamposto molto più qualificate di lui e sapendo che il “Fondatore” non faceva mai le cose casualmente, doveva esserci un motivo per questa sua decisione così inaspettata e lui ci avrebbe scommesso la sua lucente spada elfica, che esso era collegato alla prossima, imminente missione.
Capitolo 7 - Preparativi pericolosi
- Scritto da Jack Warren
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Escol tornò dalla missione ferito più nello spirito che nel corpo. Il capitano Krispin era morto, sotto la miniera dei nani aveva scoperto la fonte del potere oscuro di Arios, il primogenito di Eledras, un altro grande mago elfico, era stato trasformato in una marionetta decomposta e adesso lui si sentiva più inadeguato che mai. Certo, avevano salvato più di un centinaio di nani innocenti dalla schiavitù e probabilmente da una morte orribile, ma non gli sembrava comunque di aver fatto abbastanza. L’albero sacro degli elfi, che ivi avevano trovato, era stato corrotto in maniera blasfema ed irreparabile dal soffio oscuro dell’imperatore. Tutto quel male, quell’oscurità, doveva pur alimentarsi in qualche modo, ed era più che probabile che i nani venivano portati laggiù non per l’oro o i cristalli, ma per nutrire quel perverso e silenzioso potere maligno. Ecco perché spesso non tornavano più dalle loro famiglie. Una polla d’infinita, nefanda magia da cui attingere, che Arios stava difendendo con un’intera legione schierata, che lui aveva scoperto per caso e che avrebbe reso da adesso in poi l’imperatore ancor più circospetto e spietato di prima. Immerso in questi angosciosi pensieri, il figlio del Duca camminava affranto per la cittadella, cercando di trovare l’illuminazione per sbloccare la situazione e preparare il prossimo passo da fare. Non era facile: l’imperatore aveva dimostrato ancora una volta di stare sempre un passo davanti a lui. Aveva in custodia suo padre, il Duca, e l’aveva sfidato a recarsi lì da lui per salvargli la vita e il giovane guerriero aveva quasi deciso in cuor suo di accettare l’offerta. Poi però gli aveva parlato di Hilda e del figlio che portava in grembo. Suo figlio! A quel punto le cose erano drasticamente cambiate. Ma come era potuto succedere? Lui era certo di non aver ceduto ai vizi della carne, rammentando bene che il suo cuore, la sua anima, apparteneva e sarebbe per sempre appartenuta ad Enwel. Il suo unico amore. Eppure Arios questo gli aveva detto e per quanto potesse sempre trattarsi di una banale trappola, sembrava troppo assurda, troppo scontata, per non vestire i panni della pura verità. A quel punto Escol aveva preso tempo. Se davvero c’era il suo erede di mezzo, allora questa nuova speranza non poteva essere ignorata e questa opportunità vanificata solo per questioni personali. Anche se si trattava di suo padre! Secondo ciò che sosteneva l’imperatore, Hilda, protetta da un elementale del fuoco maggiore, era stata da lui catturata, ma poi esiliata in una prigione inespugnabile, poiché nemmeno Arios poteva nulla contro uno spirito del fuoco di tale possanza. Ecco dunque da dove doveva iniziare. Quale sarebbe dovuta essere la sua prossima mossa: riunire un piccolo gruppo di eroi (o di pazzi) per provare a trovare Hilda e liberarla dalle grinfie di Arios e della sua prigione nascosta. Pregava solo che quel mostro non uccidesse suo padre prima che avesse portato a termine questo compito. Escol si fermò. Poi si morse un labbro, come in preda ad altri mille dubbi logoranti. Si guardò un attimo a destra e a sinistra e poi si diresse alla scuola di magia. Trovare Wizimir non fu difficile. Un discepolo lo fece accomodare all’interno di una specie di piccola biblioteca adiacente alle “aule magne” e poi gli disse di attendere l’arrivo del maestro. In effetti Wizimir arrivò poco dopo e abbracciò l’amico con il consueto calore, complimentandosi con lui per i recenti, ottimi risultati. Il mago pareva ancora piuttosto malmesso: si reggeva a stento in piedi e solo con l’aiuto di un bastone, ma affermò con sicurezza di sentirsi molto meglio. Aggiunse che Liss, la sua figlioccia, si stava comportando egregiamente, dimostrandosi molto portata per la magia. Escol lo ringraziò con grande fervore, poi arrivò subito al punto, parlandogli di Hilda, della sua gravidanza e della sua ferma volontà di salvarla. Tuttavia gli confidò, quasi bisbigliando, che era sua intenzione anche provare a ritrovare la spada forgiata dai Wraith, agli albori della storia umana, quella famosa “lama oscura” in grado di uccidere persino i Paradine. Wizimir lo guardò con curiosità: conosceva la volontà di Escol di non affrontare mai più Arios in un combattimento diretto, ma ci mise poco a collegare la spada dei Wraith con il tesoro che Hilda portava in grembo. Ghignò e poi gli riportò ciò che sapeva, quei pochi brandelli di informazione che l’Asur, suo maestro, gli aveva raccontato a riguardo tempo prima. Niente che il figlio del Duca più o meno non sapesse già, ma la cosa che stupì non poco il figlio del Duca, fu che il mago si offrì anche di accompagnarlo nel viaggio che l’avrebbe condotto a svolgere il salvataggio della madre di suo figlio e l’eventuale recupero della perduta lama. Prima però dovevano capire dove la mezzelfa si trovasse. Decise dunque di andare con lui dal “Fondatore”: l’unico che poteva forse saperlo. I due camminarono per una buona mezz’ora, vista la scarsa mobilità del mago, che confidò per la prima volta all’amico che la sua pelle scura e i suoi occhi rossastri non erano tratti genetici casuali, perché egli era un Asur per metà. Escol accolse quella notizia senza battere ciglio. Sapeva che gli Asura erano crudeli e spietati, ma conosceva perfettamente la loro propensione alla lealtà e a rispettare i patti. Per questo, in un modo assai contorto e perverso, era riuscito a capirsi con Atreus e a rispettarlo come alleato. Si limitò a sorridergli. Rivedere Enwel, anche se solo come suo involucro di carne, era sempre traumatico per Escol. Balbettando, il giovane guerriero riuscì comunque a chiederle di poter conferire con il “Fondatore”. L’anziano uomo aprì gli occhi a stento. Solo, sdraiato sul suo letto sopraelevato, avvolto in coperte candide e sottili, sembrava più simile ad una statua di cera. Tuttavia alla fine si svegliò e, toccando appena la mano di Escol, si connesse con lui, facendogli dono di diverse rivelazioni. Intanto che era vero: egli aveva davvero un erede, ed Hilda era colei che lo portava in grembo! Un piccolo incantesimo aveva cancellato dalla mente del giovane guerriero questo ricordo, ma ora, anch’egli rammentava molto bene quella notte di passione. Sbirciando Enwel di sottecchi, se ne vergognò profondamente, anche se lei era rimasta immobile, come fosse una bambola di pezza, priva di volontà. Il “Fondatore” sorrise. Sia per la situazione divenuta improvvisamente molto imbarazzante per il giovane Berge, sia per la notizia che portava una nuova speranza su Eord. L’ultimo erede dei Mohdi sarebbe presto nato e questo semplice fatto rappresentava comunque una grande cosa per chi continuava a resistere ad Arios! Escol aveva inizialmente pensato ad una trovata di Hilda, sempre pronta a sedurlo durante i loro lunghi viaggi, ma Wizimir non ne era così sicuro. Forse c’era lo zampino del suo maestro anche in questo “concepimento”. Già in precedenza l’Asur gli aveva parlato di “pubbliche relazioni”, quando aveva deciso di spingerlo sul piano elementale. Quando lo aveva invitato ad accettare che uno “spirito del fuoco maggiore” entrasse dentro la maga mezzelfa. Gli Asura e gli Elementali del Fuoco avevano avuto in passato spesso rapporti intimi e connessi tra di loro. Forse che quello che si stava profilando davanti a loro era il famoso “piano b”, di cui Atreus aveva parlato ad Escol molti mesi prima? Inoltre il “Fondatore” indicò al figlio del Duca anche la zona in cui molto probabilmente si trovava prigioniera Hilda: l’area a sud del territorio Asura, nell’estremo est. Questa invece non era affatto una buona notizia. Quel territorio infatti era il più pericoloso su tutta Eord! Un popolo sconosciuto e terrificante lo abitava: erano chiamati “i cacciatori” e perfino gli Asur, più a Nord, se ne tenevano ben lontani, visto che erano le loro vittime preferite. Aveva senso: Arios non poteva sconfiggere un elementale del fuoco, quindi aveva scagliato Hilda nel territorio più inespugnabile e terrificante di tutto il pianeta. Agendo in questo modo, la sua era più che una speranza di non rivederla mai più: era quasi una certezza! Escol sospirò, per nulla intimorito. Si voltò verso Wizimir e iniziò a parlare con lui su ciò che sarebbe servito per riuscire in quell’impresa. Tuttavia il “Fondatore” non aveva ancora finito. Egli aggiunse che la sua era solo una semplice deduzione logica. Che non era Hilda che aveva “visto” o “percepito” in quella landa sconosciuta e pericolosa. Egli però “aveva sentito” con estrema chiarezza che laggiù c’era invece un elementale del fuoco! Ne “annusava” il potere immenso anche a quella distanza. Era assai difficile che potesse trattarsi di qualcos’altro rispetto a ciò che teneva in vita la mezzelfa e il suo bambino, ma ritenne che Escol dovesse comunque conoscere questo dettaglio. Riguardo la spada forgiata dai Wraith, scosse la testa, asserendo che solo una Vanyr, un antico nemico dei Wraith, nel lontano territorio dei Valoarian, poteva forse sapere dove queste creature d’ombra, progenitori degli Asura, potessero trovarsi e tenere nascosta un’arma simile. Escol abbassò il capo un pò deluso. Poi lo rialzò fieramente, deciso a fare le cose una alla volta. Ringraziò il “Fondatore”, che tornò al suo sonno e poi si recò dal signore della cittadella a presentargli le sue richieste. Volker lo accolse subito e lo ascoltò con attenzione. Sostanzialmente Escol richiese un’armatura incantata, per proteggerlo durante il periglioso viaggio che a breve si sarebbe accinto a fare e una risorsa che potesse sostituire il capitano Krispin nella sua compagnia. Magari un chierico che potesse curare le loro ferite. Volker storse un po' la bocca, non perché non volesse aiutarlo, ma perché non aveva molti chierici esperti a disposizione e una scelta sbagliata poteva compromettere la sua missione. Il figlio del Duca sorrise e lo rassicurò: era più che convinto che egli avrebbe scelto con saggezza e che quella scelta si sarebbe rivelata fondamentale per la sopravvivenza della nascente, nuova compagnia. Stee Jans, il mezzelfo maestro d’armi, l’avrebbe seguito fino in capo al mondo e Slanter, lo scout nano, sarebbe stata un’ottima guida fino ai confini del regno Asura. Dopo il chierico, restava solo da scegliere il mago. Wizimir come già detto si offrì di aiutarlo, ma Escol scosse la testa. Egli aveva adesso delle responsabilità pesanti nella cittadella e la sua magia era fondamentale per quella gente. Inoltre la sua andatura traballante avrebbe arrecato problemi alla compagnia e a lui stesso. Wizimir annuì, sussurrando che però aveva in mente un nome da suggerirgli per poterlo sostituire egregiamente. Escol lo ascoltava con attenzione. Gli parlò di una giovane Asur molto promettente, anche lei allieva di Atreus. Aggiunse che l’avrebbe vincolata ad un giuramento di fedeltà a lui, fino alla fine della missione. Non sarebbe stato difficile convincerla, visto che il loro maestro comune avrebbe di certo voluto la stessa cosa. Escol alzò un sopracciglio, un po preoccupato, ma Wizimir lo rassicurò una seconda volta su questo punto. Quando poi il vecchio Alden entrò nella stanza, introdotto dal capitano Volker, Escol non riuscì a credere ai suoi occhi! Allora anche lui ce l’aveva fatta a sopravvivere a quel giorno maledetto! Il chierico che l'aveva accompagnato nella missione suicida alla cittadella dell’imperatore era lì adesso, accanto a lui e lo stava abbracciando con calore! Alden era profondamente deturpato, sul viso e su tutto il braccio sinistro, ma non aveva perso affatto lo smalto dei giorni migliori. Tuttavia, per quanto felice di rivederlo, Escol decise di non accettare nemmeno il suo aiuto. Deluso, Alden fu costretto a non insistere oltre e ad allontanarsi con la morte nel cuore. Il figlio del Duca spiegò solo più tardi, al capitano e a Wizimir, il perché del suo comportamento forse un po troppo duro e freddo nei riguardi del vecchio chierico suo amico. Nessuno dei suoi vecchi amici, compresi Eofaulf ed Alarien, potevano accompagnarlo questa volta. Primo perché non poteva più accettare di veder morire i suoi compagni in una missione suicida per la seconda volta. Secondo perché non poteva rischiare di vivere un’altra situazione come quella con Andor! Il suo mentore l’aveva dapprima plagiato e poi tradito e quasi ogni cosa, a causa della fiducia che aveva riposto in lui, era andata perduta. Solo per miracolo una piccola fiamma di resistenza era sopravvissuta alla furia dell’imperatore maledetto. Poi coloro che erano sopravvissuti si erano divisi, ed ora erano passati mesi e nessuno sapeva cosa poteva essergli successo in tutto quel tempo. Arios era astuto e lui non avrebbe commesso due volte lo stesso errore. Era triste, difficile da accettare, ma così sarebbero andate le cose questa volta.
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